Straordinaria e sorprendente scoperta è stata fatta di recente e svela il legame tra i Campi Flegrei e Venezia. L’antica città sull’acqua fu costruita dai romani con la pietra pomice dei Campi Flegrei, e del Vesuvio.
A scoprirlo è un team di ricercatori dell’Università di Padova con la collaborazione dell’Università Ca’ Foscari Venezia e dell’università di Modena e Reggio Emilia nello studio “Vitruvian binders in Venice: first evidence of Phlegraean pozzolans in an underwater Roman construction in the Venice Lagoon”, pubblicato sulla rivista PLoS One.
La scoperta nasce dall’analisi di una struttura per la conservazione dell’acqua di età romana, risalente al I sec. d.C, nel canale San Felice che si trova oggi a più di tre metri di profondità nel tratto nord della laguna. Qui, infatti, i ricercatori hanno rilevato la presenza, del tutto inaspettata, di pomice vulcanica proveniente dai Campi Flegrei.
A descrivere la lava dei Campi Flegrei furono gli architetti e trattatisti Vitruvio e Plinio il Vecchio, come una polvere (pulvis) dalle straordinarie proprietà estratta a Pozzuoli e che permetteva alle malte e ai calcestruzzi di solidificare anche sott’acqua. Il materiale rendeva il calcestruzzo molto leggero e resistente.
“Uno studio multidisciplinare, condotto a cavallo tra archeologia, ingegneria dei materiali e geologia, che testimonia innanzitutto la capillare rete di distribuzione della pulvis puteolana, uno tra i materiali da costruzione più performanti e pertanto più ricercati nei mercati del mondo antico”, osserva l’archeologo Simone Dilaria, dell’Università di Padova e primo autore dello studio.
“La scoperta svela inoltre connessioni commerciali e culturali tra le diverse regioni del Mediterraneo finora sconosciute e inedite: lontana dall’essere una realtà periferica, la laguna si pone infatti come hub commerciale strettamente integrato in articolate reti marittime pan-mediterranee circa 1.000 anni prima che Venezia fondasse il suo impero mercantile”.
La definizione della provenienza della pulvis è stata resa possibile grazie a sofisticate analisi microscopiche e geochimiche, fino a pochi anni fa mai effettuate su materiali archeologici ma che oggi, grazie alle più moderne tecnologie di laboratorio, è possibile condurre su rocce e minerali anche se finemente macinati in una polvere di dimensione micrometrica.
Il profilo di questi piccoli inclusi è stato quindi confrontato con un vasto database di riferimento, creato dai ricercatori dei Dipartimenti di Beni Culturali e di Geoscienze dell’Ateneo patavino, che riunisce il profilo composizionale di oltre 1.000 campioni geologici di prodotti vulcanici compatibili: attraverso la comparazione dei traccianti chimici è stata certificata inequivocabilmente la compatibilità con la polvere vulcanica campana. “La pulvis puteolana” era uno tra i materiali da costruzione più resistenti e per questo tra i più ricercati nei mercati del mondo antico. Questo spiega anche l’importanza che ebbe Puteoli all’epoca tanto da poter dire che i Campi Flegrei assieme al Vesuvio ha messo su l’impero romano.
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