“Circolano sulla stampa, poi riprese dai social, una serie di spiegazioni ‘a dir poco fantasiose’ sul bradisisma dei Campi Flegrei, ed in particolare sulla sismicità”. Attraverso un post sui social il vulcanologo Giuseppe De Natale, ex direttore dell’Ingv, fa chiarezza dopo l’ultimo sisma registrato nei giorni scorsi.
“Intanto bisogna ripetere che le ricerche scientifiche pubblicate, anche su riviste internazionali di grande spessore, sono soltanto ‘ricostruzioni verosimili’, che al momento della pubblicazione non hanno (o non dovrebbero avere) errori sostanziali evidenti: ma non rappresentano necessariamente la ‘Verità’; ed infatti possono esserci ricostruzioni contrastanti, o addirittura opposte. La ‘Verità’ scientifica, infatti, su fenomeni complessi ed in gran parte incogniti come il bradisisma flegreo, e come la vulcanologia più in generale, si costruisce proprio dalla contrapposizione di ipotesi contrastanti, nel tempo, selezionando le ipotesi che resistono alle obiezioni, ed a tutti i nuovi dati ed osservazioni via via accumulati. Ci vogliono in genere anni, decenni, perchè il meccanismo scientifico di selezione focalizzi un’ipotesi che spieghi tutte le osservazioni e resista a tutte le obiezioni: quella è la ‘Verità’ scientifica, comunque mai definitiva perchè è sempre possibile che venga fuori qualche nuova osservazione, qualche nuova obiezione che ne dimostri la non applicabilità a determinate situazioni”, spiega Di Natale.
“Cosa sappiamo con certezza”
“Quindi, utilizzando il noto concetto del ‘rasoio di Occam’, che (semplificando molto) afferma che è inutile aggiungere dettagli non dimostrabili ad un modello fisico, e quindi bisogna sempre scegliere l’ipotesi più semplice e con meno ‘fronzoli’, vediamo di elencare cosa in realtà sappiamo con (quasi) certezza:
1) il bradisisma è generato dall’incremento (sollevamento) o decremento (abbassamento) della pressione interna del sistema, nei primi 3-4 km della crosta flegrea;
2) dal 2005-2006 ad oggi, c’è stato un progressivo incremento di pressione nel sottosuolo flegreo; questa sovrapressione genera sia il sollevamento del suolo che la sismicità: perchè la pressione spacca le rocce;
3) La sismicità si addensa nelle zone dove: a) è maggiore lo sforzo di taglio; b) è minore la resistenza delle rocce, perchè ci sono zone già fratturate;
4) Lo sforzo di taglio, calcolabile dalla forma della deformazione flegrea, NON È massimo nel punto di massimo sollevamento, ma bensì ad 1-2 km di distanza da esso; in questa zona ‘ad anello’, ben evidenziata dalla distribuzione della sismicità, gli eventi di sollevamento ed abbassamento di tutta la storia vulcanica successiva alla formazione della caldera hanno generato intense fratture; le rocce risultano quindi già abbondantemente fratturate: pertanto, la sismicità evidenzia la zona cosiddetta ‘risorgente’, ossia la parte interna della caldera che, soggetta a sollevamenti ed abbassamenti dovuti alla pressione interna, risulta bordata da un insieme di fratture, che corrispondono alle zone di massimo sforzo di taglio e di minima resistenza alla frattura;
5) il meccanismo di questi terremoti (perciò detti ‘vulcano-tettonici’) è esattamente analogo a quello dei terremoti tettonici (ad esempio appenninici): sono slittamenti (fratture) su faglie. Soltanto la sorgente di sforzo che li produce è diversa: per i terremoti tettonici il movimento delle placche, per i vulcano-tettonici l’aumento di pressione interna;
6) la profondità massima dei terremoti corrisponde a quella in cui la temperatura raggiunge il limite cosiddetto ‘duttile’ (T=350°C-400°C), ossia quella per cui le rocce non possono più spaccarsi ma si deformano plasticamente (come la ‘plastilina’ con cui giocavano una volta i bambini);
7) mentre i terremoti localizzati a terra non superano la profondità di circa 3 km, quelli localizzati nel Golfo arrivano anche a 5 km di profondità (sono comunque molto pochi): questo vuol dire che, evidentemente, per qualche motivo l’isoterma di circa 400°C nel Golfo è più profonda che a terra;
8) la tomografia sismica che utilizza i terremoti non ha praticamente risoluzione al di sotto di 3 km di profondità, perchè appunto sono pochissimi i terremoti che la superano, e sono tutti localizzati nello stesso settore (in mare); al contrario, la tomografia sismica ‘attiva’, fatta con scoppi in mare e che utilizza le onde riflesse alle principali discontinuità, ha una risoluzione in generale molto maggiore, e ‘vede’ anche a profondità molto maggiori di 3 o anche 5 km. Questo è il motivo per cui (dalla tomografia attiva fatta nel 2000) conosciamo con ottima precisione la profondità della camera magmatica principale (7.5-8.0 km), ma dubitiamo fortemente di ogni ipotesi di intrusione magmatica più superficiale ‘vista’ dalle tomografie con terremoti. D’altra parte, non ci sono evidenze, né dalla geochimica né da osservazioni sismologiche (il magma che migra verso l’alto dovrebbe produrre segnali sismici a frequenze molto basse, ma perfettamente rilevabili dai moderni sismografi ‘broad-band’ largamente impiegati nelle nostre aree), di risalita di magma verso la superficie dopo il 1984″.
“Esiste un solo modo per risolvere l’emergenza”
“Quindi, ogni spiegazione ‘artatamente divulgativa’ che tira in ballo ‘strati’ particolari, che ‘si piegano’, ‘si inarcano’, sono ‘molto rigidi’ o ‘poco rigidi’, presenza di magma ‘a 3 o a 5 o 6 km’, ancorché suggestiva non ha evidenze scientifiche significative, né alcuna utilità pratica per la gestione dell’emergenza attuale”.
“L’unica cosa certa – conclude De Natale – ben nota da molti anni, è che più aumenta il sollevamento del suolo (che di fatto è come un manometro che indica la pressione interna) più aumenta la sismicità: sia in frequenza che in magnitudo massima; che però non dovrebbe poter superare una magnitudo di circa 5 (comunque circa 10 volte più forte, in termini energetici, del terremoto del 20/5/2024 con M=4.4). Questi terremoti possono fare ingenti danni, nonostante le modeste magnitudo (come dimostrato in modo eclatante dal terremoto di Casamicciola del 2017), perchè avvengono a profondità molto basse, quindi a poca distanza dagli edifici che sono in superficie (in una zona densamente abitata: perciò i terremoti in mare hanno una pericolosità molto minore). Quindi, esiste un solo modo, noto da molti anni, per risolvere questa emergenza: verificare a tappeto la vulnerabilità degli edifici, specialmente nell’area più a rischio, ossia entro un paio di km intorno al triangolo Solfatara-Agnano-Pisciarelli, ed evacuare gli edifici fatiscenti. Se si fosse fatto ciò anni fa, ci sarebbe stato anche il tempo per consolidare gli edifici ed evitare del tutto la presente emergenza. Oggi tempo non ce n’è, perché come è evidente a tutti da un momento all’altro può avvenire un terremoto più forte (al contrario dell’evoluzione in aumento della sismicità, prevedibile e prevista, non è possibile prevedere il tempo in cui accadranno i singoli terremoti, ad esempio i più forti), che potrebbe causare il collasso di edifici particolarmente fatiscenti e non ancora evacuati/controllati: quindi bisogna fare tutto con grande celerità, magari sguinzagliando sul territorio decine o centinaia di professionisti ben preparati per le verifiche di vulnerabilità. Oppure bisogna evacuare preventivamente tutti gli edifici almeno nell’area più a rischio: Tertium non datur…”.