Giorni come di uno sciame sismico ininterrotto, poi dei terremoti più forti, col buio. La scorsa notte nell’area flegrea non poteva che succedere quanto si è visto: di nuovo gente in strada valigie alla mano, di nuovo famiglie intere a dormire in auto. Il bradisismo, dopo qualche mese di quiete relativa, è tornato a bussare alle porte dei Campi Flegrei togliendo serenità (e sonno) a quel mezzo milione di persone che sul vulcano ci vive.
Sono passati otto mesi dal decreto Campi Flegrei, e bisogna davvero strizzare forte gli occhi per scorgerne qualche effetto concreto.
Ci sono state due esercitazioni probabilmente riuscite, sicuramente costose, molto poco probanti (ne abbiamo parlato qui e qui). Ci sono stati sparuti banchetti informativi tenuti da volontari della Protezione civile che, bontà loro – ne sono stato testimone – non sempre distinguevano i Campi Flegrei dal Vesuvio. Non c’è stata invece alcuna formazione per questi volontari, figure chiave in caso di situazioni complesse, i quali però nella maggior parte dei casi sono cittadini comuni che ne sanno né più e né meno di chi dovrebbero aiutare.
C’è stata una verifica degli edifici pubblici, di scuole e ospedali. Ci sarebbe stata una verifica degli edifici privati. Uso il condizionale perché non c’è alcun esito disponibile di questi controlli: tutti gli edifici dell’area flegrea sono in prefetto stato? Se altrimenti, quali non lo sono e come si intende agire? È vero che i terremoti che si stanno verificando non sono né fortissimi né lunghi, ma se un edificio è in condizioni critiche possono bastare per minarne la stabilità. La misura di quanto si stia facendo tutto in modo approssimativo la dà, tra le altre cose, il fatto che a Pozzuoli soltanto da pochi giorni si sia aperta la possibilità di iscrivere gli edifici al registro di quelli che necessitano lavori di messa in sicurezza. Stiamo parlando degli effetti del terremoto di maggio scorso: sono passati nove mesi.
E ancora: nel decreto Campi Flegrei si parla di zone di accoglienza da predisporre. La scorsa notte – in un momento di emergenza percepita come vera e stringente, non in un’esercitazione preparata a tavolino – cosa è stato predisposto, nel concreto? Abbiamo ricevuto segnalazioni di persone anziane e disabili che volevano lasciare i loro appartamenti, la Protezione civile non è stata in grado di fare in modo che questo potesse realizzarsi. Il primo soccorso di chi è potenzialmente in difficoltà non sarebbe la base di un piano d’emergenza? Ieri sera i Comuni di Napoli e Pozzuoli cosa hanno potuto e cosa avrebbero potuto mettere in campo per “amministrare” la crisi in atto?
C’è una cosa poi, più di ogni altra, che fa stare poco tranquilli. È questo balletto di dichiarazioni fattuali che si succedono al presentarsi di volta in volta di uno sciame sismico. “La situazione viene monitorata costantemente”, l’assessore che parla di staticità dei palazzi, il sindaco che fa il video social col giubbino della protezione civile, il prefetto che rassicura sull’attenzione del ministro che ieri d’altro canto non mancava di commentare i risultati di Sanremo. Tutto prevedibile, tanto quanto il fatto che il non poco denaro di cui si parla nel decreto Campi Flegrei verrà nebulizzato in interventi poco determinanti. E la gente in strada, da sola e senza supporto, ieri sera come lo scorso maggio, è il tangibile quadro della situazione: sono troppe le domande che le istituzioni stanno evadendo, troppe perché in effetti i residenti non provino scoramento e preoccupazione.