POZZUOLI – Ha finito di pagare il suo conto con la giustizia Vittorio Avallone, 56 anni, che da oggi torna in libertà dopo quattordici anni trascorsi tra carcere e domiciliari. Arrestato nel giugno del 2010 insieme ad altri 83 affiliati ai Longobardi-Beneduce durante la maxi operazione “Penelope”, Avallone era ritenuto gestore della piazza di spaccio nei 600 alloggi di Monterusciello per conto del boss Gaetano Beneduce. Insieme al fratello Leonardo detto “o chiattill” (anch’egli da poco tornato in libertà) in precedenza era stato agli ordini del clan Bellofiore-Sebastiano di Toiano. La lunga condanna Vittorio Avallone – negli anni assistito dall’avvocato Diego Bonito – l’ha scontata inizialmente in carcere per poi ottenere la detenzione domiciliare a causa di gravi problemi di salute causati dall’agguato a cui scampò proprio durante la faida che nel 2008 vide contrapposti i Longobardi e i Beneduce.

L’AGGUATO – Era il 22 novembre di quell’anno quando, in risposta all’omicidio di Gennaro Izzo, i Pagliuca alleati del boss Gennaro Longobardi insieme ai Sarno di Ponticelli tentarono di ammazzare Vittorio Avallone. La missione di morte scattò a Monterusciello, in via De Chirico, intorno alle 22, quando da un’auto partì una raffica di colpi di pistola: l’uomo cadde sull’asfalto sanguinante e privo di sensi, ma fu salvato dai sanitari. «Sono stato io a dargli la prima “botta” in faccia […] -raccontò ai magistrati il pentito di camorra Francesco De Felice – Le pistole usate furono una Tanfoglio e una pistola a tamburo. Io ho usato quella a tamburo, con la quale ho esploso un solo colpo attingendo la vittima al volto» che poi svelò un retroscena durante le fasi dell’agguato «Dopo aver sparato ad Avallone abbiamo visto un cane. Poiché io ho paura dei cani, mi sono bloccato e ho urlato […] lui ha sparato all’animale, uccidendolo». 



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