POZZUOLI – Venerdì 6 settembre saranno trascorsi 16 anni dall’assassinio di Giuseppe Minopoli, detto “Pino”, la guardia giurata ammazzata durante un tentativo di rapina in una pizzeria nel quartiere di Monterusciello. Erano due le belve che assaltarono il locale, una quella che sparò due colpi di pistola contro Pino, all’epoca 37enne, che alla vista dei rapinatori tentò di reagire per difendere il titolare. Ad oggi gli autori di quel barbaro omicidio sono ancora impuniti: due su tutti sono i sospettati (entrambi affiliati ai clan Longobardi -Beneduce e attualmente in galera) i cui nomi, in diverse occasioni, sono stati fatti dai pentiti di camorra di Pozzuoli.

IL RICORDO – Da lunghi sedici anni i familiari chiedono che venga fatta luce su quell’omicidio. Come l’ha chiesta Luigi, il papà di Pino, scomparso a maggio scorso: “Gigino”, come lo chiamavano tutti, è andato via senza ottenere giustizia. Oggi, a due giorni dal sedicesimo anniversario di quell’omicidio, Padre Maurizio Patriciello, parroco di Caivano, ha voluto dedicare un lungo pensiero proprio al “gigante buono”, morto per amore verso il prossimo. A Pino è stata intitolata anche una piazza nel quartiere di Monterusciello, ex piazza Severini oggi “Piazza Minopoli” (nella foto il momento in cui viene scoperta la targa davanti allo sguardo commosso dei genitori).

IL GIGANTE BUONO
(Ucciso a Pozzuoli il 6 settembre del 2008)
Lo avete ucciso.
Barbaramente.
Stupidamente.
Inutilmente.
Siete poveri, dite.
Senza lavoro.
Anche lui, Giuseppe, il gigante buono, era povero.
Ma non si era arreso.
Il lavoro lo aveva cercato.
E trovato.
Un lavoro dove si rischia molto e si guadagna poco.
I “valori” , il gigante, li scortava, non li possedeva.
Ma aveva un lavoro che lo faceva uomo.
E gli consentiva, a sera, di mangiare il pane.
Magari solo pane nero.
Impastato con il sudore della carne sua.
Maledetto è il pane fatto con il sangue dei fratelli.
E’ pane che non sazia.
Pane avvelenato.
Pane velenoso.
Voi non amate.
Voi non sapete amare.
Neanche i figlioli vostri stessi.
Che avete fatto, poi?
Come avete conclusa la serata maledetta?
Come vi siete visti dopo aver tolto il casco?
Giuseppe è morto.
Lo avete ucciso voi.
Avete spento un cuore.
Non uno solamente.
I cuori stanno a grappoli.
Quell’uomo amava.
Alla sua fonte erano in tanti a bere.
C’è un altro morto per il quale mai sarete processati.
E’ la speranza, la vittima invisibile.
A Napoli in tanti non sanno più chi sia.
I giovani se ne vanno.
Li avete cacciati via.
Chi siete?
Chi è il vigliacco che si nasconde sotto il casco?
Amate atteggiarvi a vittime.
Lo siete veramente.
Vittime e carnefici.
Partite – e lo so bene – con una marcia in meno.
La vita non sempre vi fu madre.
E’ vero.
Eravate solo ladri fino all’altra sera.
Assassini oggi siete diventati.
Caino si chiamava chi per la prima volta uccise.
Ma la voce di quel sangue ancora non si è spenta.
Abele ancora piange.
Ancora geme Abele.
Chiunque versa il sangue di Abele porta il nome.
Voi non vi chiamate Abele.
Spero che non mangiate.
Spero che non dormite.
Spero che il rimorso vi tenga compagnia.
E non per un giorno solo.
Spero che il ricordo del “gigante ” vi appesantisca il cuore.
Spero che di piangere siate capaci ancora.
Lacrime benedette.
Pioggia che purifica.
Rivolo che deterge l’animo.
Acqua che vi lavi il cuore.
Lacrime per farvi uomini.
Al pozzo proprio va attinta l’acqua per fare il pane.
Forse sarà poco il pane e ancor di meno il vino, ma basterà a saziarci.
E lo gusteremo insieme.
E lo daremo ai figli, guardandoli negli occhi, sentendoci orgogliosi.
(Padre Maurizio Patriciello)



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